domenica 21 settembre 2008

Il Governo di Al Bashir dal 1989 sceglie sempre il mese del ramadan per perpetrare le uccisioni



di Suliman Hamed


Suliman Hamed a Tolom (campo profughi Darfur in Chad)

Il 12 settembre, giorno di ramadan, i janjaweed ed i soldati del Governo sudanese hanno bombardato con aerei dei paesini ad Ovest di Al Fasher. Tarni, Owila, Birmaza e tante altre zone del Nord Darfur, che nn registrano la presenza di forze degli eserciti di ribelli, sono state colpite dall’attacco. Molti civili innocenti hanno perso la vita, in un attacco inaspettato, che il giorno dopo si è esteso all’intera regione del Darfur. Dopo questo attacco il Jem e l’ SLM hanno deciso di mettere insieme e le proprie forze per combattere gli attacchi del Governo. Giorno tredici circa cinque aerei bombardieri hanno colpito la zona di Sinet, dove Minnie Minnawi, dopo aver rotto l’accordo con il Governo sudanese nel maggio 2008, si era rifugiato con il suo esercito.Molti civili sono stati colpiti dall’attacco ed hanno perso la vita. Il 14 settembre, ad Est del Gabel Marra, sono morti molti civili, janjaweed, soldati dell’esercito sudanese, e ribelli dell’SLM e del Jem.
Il 15 la guerra è arrivata a tutte le zone del Darfur, con violenti bombardamenti. Solo nelle grandi città non ci sono state tracce del conflitto, perché il Governo sudanese si è reso conto che tutti gli eserciti di ribelli si sono uniti per far fronte al suo attacco, durato fino a giorno 17. E’ stato un momento molto importante, che ha segnato la ricongiunzione delle forze dei ribelli, che si sono unite dopo che nel 2006 si erano separate. Secondo le stime i morti di questo attacco cruento sono stati più di mille, tra esercito regolare, ribelli e vittime civili. I media tacciono il numero reale delle vittime, nessun giornalisti era presente in Darfur per documentare l’acceduto e le vittime della guerra in Darfur continuano ad essere invisibili. Il 18 finalmente tutti i capi del Governo sono arrivati ad Al Fasher per convincere Minni Minnawi ad un nuovo accordo con il Governo di Al Bashir. Ali Usman Taha, Vice Presidente sudanese, il Ministro dell’Interno sudanese, Abdel Gadir Sbdrat il Ministro della Giustizia, il capo dei Servizi Segreti sudanese Sala Gos e il Ministro della Difesa Marscal Abdrahim Mohamed Hussein, si sono recati ad Al Fasher per trovare un accordo con l’esercito dei ribelli, ma Minni Minnawi ha rifiutato.

Nel maggio 2006 Minnawi aveva firmato un accordo con il Governo, che prevedeva la ricostruzione delle case distrutte dalla guerra in Darfur, il ripristino delle scuole, delle reti di comunicazione, il ritorno dei rifugiati nei loro paesi d’origine, il disarmo dei janjaweed (eserciti di mercenari che hanno devastato il paese con cruenti attacchi alla popolazione civile) e l’impegno di portare in Darfur lo stesso progresso esistente nel resto dell’intero Sudan. Quest’accordo, ad oggi, non è stato rispettato e nel maggio 2008 Minni Minnawi ha lasciato Karthoum per tornare in Darfur, senza però sferrare alcun attacco al Governo. In seguito all’attaco del 12 settembre, però, le cose sono cambiate. Il 19 settembre Minni Minnawi ha affermato che se entro dieci giorni il Governo non provvederà a tener fede agli accordi presi i ribelli faranno sentire la loro voce.
Qualunque giornalista interessato ad avere notizie può rivolgersi a Suliman Hamed
Kois2778@maktoob.com
http://zaghawa-ita.blogspot.com/
Tel 348.7937982

venerdì 19 settembre 2008

Le tende della morte di Tulùm


Tra tutti i campi profughi del Chad, uno dei più incredibili è Tulùm. Si trova a circa venti km da Mile verso nord. A renderlo speciale sono le sue dimensioni: ospita infatti quasi mezzo milione di profughi, in realtà un po' di meno, ma sempre molti di più dei campi normali.

Ovviamente a Tulùm tutti i servizi sono gestiti in maniera diversa da quella dei campi piccoli, ma di questo parlerò altrove. Qui di seguito voglio raccontare una storia diversa.

Le tende della morte
In Sudan e in Chad fa caldo, molto caldo. Nei campi di accoglienza le organizzazioni mettono a disposizione solo delle tende, al cui interno di giorno fa molto, molto caldo.
Per chi è in buona salute questo non è un problema, perché di giorno, quando fa più caldo, le persone vanno in giro e cercano aria ed ombra e frescura.
Per i malati e gli anziani, però, servirebbe una maggiore attenzione, perché essi non possono andare in giro e quindi restano al caldo della tenda. Respirano male. Non riescono a mangiare. Muoiono più velocemente.
I familiari vengono a salutarli prima dell'inveitabile fine della vita. Nei campi ho incontrato molte di queste persone, come Surù e la figlia Fatimè, come Idriss Sabil e il figlio Adam.
Ecco, per malati ed anziani queste tende sembrano l'ultimo posto dove abitare prima di morire. Il campo di Tulùm è gestito dall'UNHCR, e a questa Organizzazione delle Nazioni Unite io rivolgo una domanda: sarebbe così difficile costruire delle tettoie riparate, in modo da dare a queste persone un po' di refrigerio?
I rifugiati che hanno la possibilità si costruiscono una piccola area riparata dal sole ma all'aria aperta, quindi la cosa in sé è possibile. L'UNHCR si dedica molto ai bambini e noi tutti glie ne siamo molto grati. Ma ai malati e agli anziani, che da noi sono persone molto importanti, chi ci pensa?

Violenza sulle donne
Queste persone già devono vivere in condizioni terribili. Per dirne una, ad ogni famiglia spettano solo nove kg di legna da fuoco alla settimana. E ciascuna famiglia è composta mediamente da 15 persone. In Europa sono ormai pochi quelli che riscaldano l'acqua e cucinano con la legna, ma si sa che la necessità normale andrebbe misurata in quintali, non in kg.
Adesso alcuni campi hanno a disposizione dei sistemi di ricaldamento e cottura che usano l'energia del sole, ma sono veramente pochissimi.
La raccolta di legna è poi uno dei problemi principali dei profughi, che devono uscire dai campi. Poiché questo lavoro viene affidato alle donne, le poverette diventano facili prede dei janjaweed, che le stuprano e non per motivi sessuali, come spesso si crede, ma per rubare loro l'anima.
Per evitare questa vergogna, adesso sono i bambini -maschi e femmine- a uscire dai campi per cercare legna ed acqua.

(c) Suliman Ahmed Hamed 2008

mercoledì 17 settembre 2008

I "missionari" di Mile

Mile è un villaggio situato tra Greda, capoluogo dell'etnia Tama, e Iriba, città zaghawa kobè controllata dal sultano Haggar. Rispetto a Kolongo, Mile è a quindici km più a nord, più o meno a metà del viaggio tra Kolongo e Tolòn. Questa è la tipica distanza tra due villaggi profughi vicini, ovvero 15-20 km.

Mile vuol dire “sale” in arabo, ma non sembra che qui intorno ci siano saline

In questo campo ci sono circa cinquantamila profughi

Quando sono arrivato al campo, il primo segno dell'Europa ad accogliermi è stato il cartello dell'Unicef. Solo il cartello, però, perché del personale non è rimasto nessuno.
La situazione era difficile e gli ultimi erano partiti il 5 giugno, circa due settimane prima del mio arrivo. Nei campi non ho mai visto neanche un europeo e la motivazione ufficiale era la mancanza di sicurezza. I profughi mi hanno detto che il vero problema non era la sicurezza, ma la lotta tra le popolazioni locali e le organizzazioni politiche per la divisione del cibo che veniva portato con i camion. Il personale europeo si è trasferito a N'djamena e Abeche, città più grandi della zona. Lì è ospitato anche il personale europeo di Medici Senza Frontiere, l'unica organizzazione che ogni tanto manda del personale medico nel campo di Mile.


Nell'ospedale qualcuno dorme in un letto, qualcun altro per terra.

Ho parlato molto con il mio amico Mahammud Annur Hamet, medico che lavora con Medici Senza Frontiere. La farmacia non è molto fornita, anzi ci sono pochissimi medicinali, ma lì devono bastare. L'unica medicina necessaria ad essere terminata è quella del flacone a sinistra nella foto, tenuto sul vassoio. “Se MSF non torna entro un mese qui ci sarà un grande problema”, mi ha detto, “soprattutto per i bambini gravi che rischiano seriamente di morire”. Ho contato i bimbi tenuti in degenza con le madri ed erano venticinque.


Sono rimasto cinque giorni in questo campo e l'ho girato angolo per angolo, parlando persona per persona. Io sono del Darfur e basta; tutti i darfuriani sono il mio popolo.

Un grande problema dell'Africa è l'Aids. In Darfur questa terribile malattia praticamente non esiste, ma in Chad c'è e quindi i medici tengono la situazione sotto controllo. In ogni campo c'è un gruppo di volontari che fanno prevenzione; molti di loro sono studenti o maestri sudanesi, molti anche da Khartoum, le cui famiglie sono state cacciate dalle loro terre e per le quali i giovani s'impegnano in quest'opera. Vanno famiglia per famiglia a informare, chiedere, visitare; si occupano molto anche degli anziani e delle persone sole, che più difficilmente si spostano per andare all'ospedale in caso di malessere e che spesso sono vittime di demenza o pazzia.

A questi giovani volontari, l'Unicef ha dato un certo numero di libretti d'una trentina di pagine scritte in francese con alcune foto a colori. Sempre loro, questi veri e propri missionari, si occupano anche dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni, che non andando più a scuola sono liberi di girare per il campo e facili prede del reclutamento da parte di organizzazioni militari. Questo è un problema particolarmente sentito nei campi profughi, come ho già detto a proposito della scuola di Kolungo.

Una scena che ho visto ripetersi in quei giorni e che farebbe inorridire un europeo è il trasporto delle donne che stanno per partorire. Non ci sono strade vere e proprie e non ci sono ambulanze né automobili, ma solo carretti ad assale rigido trainati dai buoi. Il carro arriva sul posto guidato dalle urla e la donna viene posta di peso sul carro, che quindi di sobbalzo in buca va lentamente verso l'ospedale.



(c) Copyright 2008 Suliman Ahmed Hamed

A Kolungo, o scuola o guerra

Il campo di Kolungo si trova vicino alla città di Greda, a 15 km dal confine tra il Chad e il Sudan. Ci vivono oltre ventimila persone di tutte le etnie del Darfur. Sono arrivato al campo di Kolungo il 3 giugno 2008, venendo da Farshanà e Gosbeda (dei quali non ho immagini). A questi si sono aggiunte circa settemila persone provenienti dalla battaglia di Genena, tenunta in maggio: queste persone, quasi tutte di etnia Tama, non esano neanche registrate nella lista della distribuzione del cibo: erano i capi zona ad organizzarsi per offrire un minimo di assistenza.

Per prima cosa in questo campo non c’è più supporto medico, perché anche Medici senza frontiere ha abbandonato il presidio per la mancanza di sicurezza. Già avevano un grande problema: le autorità locali vorrebbero avere loro le medicine e il cibo da distribuire alla gente, ma MSF s’è sempre rifiutata.

A Kolungo ho parlato con molte persone ed alcune di queste vorrei presentarvele. Nella scuola il maestro Muhammad, molto giovane (ha circa 25 anni), lavora lì per la sua passione di insegnare ai bambini dei campi profughi. Certo non lo fa per soldi, visto che il suo stipendio mensile è di 20 dollari statunitensi. In una scuola pubblica normale guadagnerebbe 15 o 20 volte tanto, per non parlare delle scuole private, dove lo stipendio è normalmente di 6/700 dollari ma può arrivare anche a mille.

“Due anni fa, le genti del Darfur che stanno in America hanno organizzato grandi cose, tra le quali tre grandi scuole, due in Darfur (Entrambe a Musbet, vicino a Kornoi) e una in Chad (Tina), delle quali pagano molte spese e principalmente gli stipendi degli insegnanti, 150 dollari”. Questa informazione mi è stata data anche negli altri campi che ho visitato.

Nella scuola di Kolungo manca tutto, dalle penne ai quaderni, ai libri; ovviamente di banchi e di sedie non se ne parla proprio! Gli studenti siedono a terra su tappeti o altri tessuti, o anche senza niente, ed ascoltano il maestro.

O scuola o guerra
“Un grande errore di organizzazione manda moltissimi ragazzi a morire in guerra”, denuncia il maestro. “In Sudan la scuola elementare dura otto anni, in Chad solo sei. I ragazzi che vanno a scuola hanno qualcosa da fare, mentre gli altri sono liberi di andare in giro e divengono facile preda del reclutamento di tutti i tipi dei cosiddetti ribelli del Jem e dell’Slm”. La cosa è grave in sé, ma la realtà è anche peggiore: molti di quei ragazzi sono l’unico figlio maschio di mamme rimaste sole e non sempre in buona salute.

La cecità dell'Europa
Di ragazzi ne muoiono davvero tanti. Tra questi ci sono tutti e quattro i figli di Saa’ti Ishag, quattro rimasti sul campo della battaglia di Abu Gamra (2003) e uno nella battaglia di Tina (2004). Saa’ti vive con una delle nuore e i suoi tre figli. La stessa sorte tocca a molte altre persone..
Dalla fine del 2006, Saa'ti è diventato cieco. La cecità è molto diffusa nei campi, perché l’alimentazione è molto deficitaria e si vive troppo al chiuso delle tende e i medicinali che potrebbero aiutarli non si trovano. “Tu che torni in Europa, cerca aiuto per le tante famiglie come la mia, che non hanno possibilità di lavorare”. Saa’ti era un personaggio importante, era Imam di Mughr; “Noi pensavamo che l’Islam fosse una grande religione, ma in tutti questi anni di guerra non abbiamo mai avuto aiuti da arabi o musulmani, né persone né associazioni; le uniche organizzazioni umanitarie presenti sono europee o americane. Raccontagli la storia di quelli come me”.

Distribuzione cibo (sinistra) ed acqua (destra) nel campo di Kolungo


(c) Copyright 2008 Suliman Ahmed Hamed