Mile è un villaggio situato tra Greda, capoluogo dell'etnia Tama, e Iriba, città zaghawa kobè controllata dal sultano Haggar. Rispetto a Kolongo, Mile è a quindici km più a nord, più o meno a metà del viaggio tra Kolongo e Tolòn. Questa è la tipica distanza tra due villaggi profughi vicini, ovvero 15-20 km.
Mile vuol dire “sale” in arabo, ma non sembra che qui intorno ci siano saline
In questo campo ci sono circa cinquantamila profughi
Quando sono arrivato al campo, il primo segno dell'Europa ad accogliermi è stato il cartello dell'Unicef. Solo il cartello, però, perché del personale non è rimasto nessuno.
La situazione era difficile e gli ultimi erano partiti il 5 giugno, circa due settimane prima del mio arrivo. Nei campi non ho mai visto neanche un europeo e la motivazione ufficiale era la mancanza di sicurezza. I profughi mi hanno detto che il vero problema non era la sicurezza, ma la lotta tra le popolazioni locali e le organizzazioni politiche per la divisione del cibo che veniva portato con i camion. Il personale europeo si è trasferito a N'djamena e Abeche, città più grandi della zona. Lì è ospitato anche il personale europeo di Medici Senza Frontiere, l'unica organizzazione che ogni tanto manda del personale medico nel campo di Mile.
Nell'ospedale qualcuno dorme in un letto, qualcun altro per terra.
Ho parlato molto con il mio amico Mahammud Annur Hamet, medico che lavora con Medici Senza Frontiere. La farmacia non è molto fornita, anzi ci sono pochissimi medicinali, ma lì devono bastare. L'unica medicina necessaria ad essere terminata è quella del flacone a sinistra nella foto, tenuto sul vassoio. “Se MSF non torna entro un mese qui ci sarà un grande problema”, mi ha detto, “soprattutto per i bambini gravi che rischiano seriamente di morire”. Ho contato i bimbi tenuti in degenza con le madri ed erano venticinque.
Sono rimasto cinque giorni in questo campo e l'ho girato angolo per angolo, parlando persona per persona. Io sono del Darfur e basta; tutti i darfuriani sono il mio popolo.
Un grande problema dell'Africa è l'Aids. In Darfur questa terribile malattia praticamente non esiste, ma in Chad c'è e quindi i medici tengono la situazione sotto controllo. In ogni campo c'è un gruppo di volontari che fanno prevenzione; molti di loro sono studenti o maestri sudanesi, molti anche da Khartoum, le cui famiglie sono state cacciate dalle loro terre e per le quali i giovani s'impegnano in quest'opera. Vanno famiglia per famiglia a informare, chiedere, visitare; si occupano molto anche degli anziani e delle persone sole, che più difficilmente si spostano per andare all'ospedale in caso di malessere e che spesso sono vittime di demenza o pazzia.
A questi giovani volontari, l'Unicef ha dato un certo numero di libretti d'una trentina di pagine scritte in francese con alcune foto a colori. Sempre loro, questi veri e propri missionari, si occupano anche dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni, che non andando più a scuola sono liberi di girare per il campo e facili prede del reclutamento da parte di organizzazioni militari. Questo è un problema particolarmente sentito nei campi profughi, come ho già detto a proposito della scuola di Kolungo.
Una scena che ho visto ripetersi in quei giorni e che farebbe inorridire un europeo è il trasporto delle donne che stanno per partorire. Non ci sono strade vere e proprie e non ci sono ambulanze né automobili, ma solo carretti ad assale rigido trainati dai buoi. Il carro arriva sul posto guidato dalle urla e la donna viene posta di peso sul carro, che quindi di sobbalzo in buca va lentamente verso l'ospedale.
(c) Copyright 2008 Suliman Ahmed Hamed
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