domenica 31 agosto 2008









“È un’accusa totalmente falsa, inventata dal governo sudanese per distogliere l’attenzione dai massacri dell’esercito in Darfur”. Contattato da Panorama.it, Esam Eldin Elhag, portavoce dei ribelli darfuriani del Movimento di Liberazione del Sudan (Slm), respinge al mittente le accuse per il dirottamento del Boeing 737 della Sun Air, avvenuto ieri pomeriggio poco dopo il decollo dalla città sudanese di Nyala e conclusosi oggi in Libia con la resa di due presunti membri di una fazione dell’Slm. Ma Elhag coglie l’occasione anche per fare il punto su una guerra che dura ormai da cinque anni e mezzo, e che ha provocato almeno 300.000 morti e due milioni tra profughi e sfollati.Signor Elhag, i due dirottatori sostengono di essere membri dell’Slm, in particolare della fazione facente capo a Abdel Wahid Mohammed al-Nur. A lei risulta che sia la verità?Niente di più falso. Posso affermare sia a nome del nostro gruppo che di quello di al-Nur che l’Slm non ha mai compiuto azioni contro civili, né in Darfur né altrove. Questa messinscena è opera del governo sudanese. Sono anni che a Khartoum premono perché l’Slm e il Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza (Jem, l’altro gruppo ribelle darfurino, ndr), siano inclusi nella lista delle organizzazioni terroristiche. Sperano di screditare la nostra azione e di distogliere l’attenzione internazionale dai massacri dell’esercito.Si spieghi meglio.Lunedì 25 agosto, l’esercito è entrato nel campo profughi di Kalma, in Darfur, e ha aperto il fuoco contro i civili. Il bilancio sudanese parla di 12 vittime, ma secondo le nostre fonti i morti sono 97 e i feriti 104. Mentre noi, quando attacchiamo l’esercito, lo facciamo lontano dalle aree civili.Ci sono novità sul fronte dei colloqui di pace?L’Slm è pronto a sedersi al tavolo delle trattative, ma non nelle condizioni attuali. Non abbiamo partecipato agli incontri di Sirte lo scorso ottobre, perché chiediamo come precondizione che le trattative vengano condotte da uno Stato non africano e neutrale, Svizzera o Paesi Bassi. Non possiamo accettare la mediazione della Libia, che ha troppi legami con il governo sudanese.Dal vostro punto di vista, la possibile incriminazione del presidente sudanese, Omar Hassan al-Bashir, davanti alla Corte Penale Internazionale, cambia qualcosa?Noi sosteniamo il lavoro della Corte, anche perché in Darfur non ci può essere pace senza giustizia. E questo significa che, fin quando Bashir rimarrà al potere, raggiungere un accordo sarà impossibile. Anche per colpa della comunità internazionale.Ritiene che l’Onu sia responsabile della situazione in Darfur?Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato 18 risoluzioni che condannano il governo sudanese per i crimini in Darfur, ma in concreto non è stato fatto nulla. L’esempio più lampante è quello dell’Unamid (la missione di pace congiunta di Onu e Unione Africana attualmente in Darfur, ndr). Ci sono voluti anni per costringere il governo di Khartoum ad accettarla, e ora che è operativa l’Onu non dà ai peacekeepers neanche i mezzi per muoversi. I caschi blu dovrebbero proteggere i civili, ma spesso vengono nel nostro territorio per sfuggire agli attacchi dell’esercito.Al momento sia l’Slm che il Jem sono divisi in diverse fazioni: è vero che sono in corso colloqui per riunificare i due movimenti? L’anno scorso dieci fazioni dell’Slm si sono riunite in un solo gruppo, sotto la guida di Ahmed Abdel-Shafi. Restano fuori ancora l’Slm-Unità e la fazione facente capo a Abdel Wahid Mohammed al-Nur. Al momento non è in programma una riunificazione.Non crede che questo frazionarsi in mille gruppi possa danneggiare la credibilità del movimento ribelle? Alcuni cominciano a percepirvi come delle bande di criminali che combattono solo per calcolo personale.Dietro questo processo ci sono le mani lunghe dell’Unione Africana e del governo sudanese. La prima, dopo i colloqui di pace di Abuja del 2006 (firmati solo da una fazione dell’Slm, ndr), ha fatto pressione su vari comandanti militari perché accettassero gli accordi. Il governo ha fatto la stessa cosa, conquistando comandanti e divisioni ribelli con la promessa di soldi o di incarichi per indebolirci. In parte ci sono riusciti, ma il movimento è ancora vivo.LEGGI ANCHE: Liberi gli ostaggi dell’aereo dirottato a Khartoum