giovedì 30 ottobre 2008

mercoledì, ottobre 29, 2008

Non scoraggiamoci mai


Darfur senza pace, ma andiamo avanti

Oggi la giornata è iniziata con una lunga discussione con una cara amica di Aegis Trust che mi aggiornava sulle informazioni che ricevono periodicamente dai loro cooperanti in Darfur. La situazione si aggrava di giorno in giorno. Si susseguono notizie di attacchi ai villaggi nel sud della regione e i morti sarebbero oltre un centinaio in soli tre giorni. Eppure l’opinione pubblica, la minima parte che si informa sull’argomento, è a conoscenza di un solo raid nei dintorni di Mouhagiriya, ad est di Nyala, capitale del Sud Darfur.
L’Apcom ha diffuso domenica scorsa la notizia che – cito integralmente - quaranta persone sono state uccise e 12mila costrette alla fuga a seguito degli attacchi sferrati da miliziani arabi contro una serie di villaggi. La fonte è l'organizzazione non governativa Human Rights Watch (Hrw).Gli operatori umanitari non hanno potuto dare informazioni sul numero esatto di vittime e la portata dei danni che sono difficili da accertare, anche perchè le missioni umanitarie non possono accedere alla zona dove le violenze si sono verificate.
Quello che l’Apcom non dice è che gli eccidi sono stati perpetrati in molti altri villaggi, attaccati e incendiati dalle spietate milizie janjaweed che non si sono ‘limitate’ a incendiare case e rubare bestiame. Queste azioni vanno inquadrate nella strategia di distruzione e terrorismo nei confronti della popolazione che sostiene i gruppi ribelli, dicono fonti non governative. Noi, aggiungiamo, che non è altro che il proseguimento del piano degli ispiratori di tali violenze, ovvero l’annientamento delle etnie - non arabe - che popolano il Darfur. Tutto questo a fronte dell’ennesima iniziativa pubblica del presidente sudanese Omar al Bashir, sul quale pende una richiesta di incriminazione della Corte penale internazionale per genocidio, che ha proposto un tavolo di colloqui di pace in questa provincia.
Ovviamente il regime sudanese chiede in cambio che il Consiglio di sicurezza dell'Onu tenga ‘congelati’ eventuali procedimenti internazionali nei suoi confronti. Secondo fonti Apcom, responsabili di associazioni umanitarie sostengono che i combattimenti contrappongono la tribù dei Maaliya (arabi) a quella dei Zaghawa (africani), e le milizie arabe ai ribelli dell'Slm. Queste fonti però non sono in gradi di stabilire se gli arabi agiscano indipendentemente dal governo o meno. L’Unamid, intanto, avrebbe promosso una serie di incontri ‘riconciliatori’ tra tribù, in particolare per risolvere i problemi relativi al bestiame, e non soltanto tra Maaliya e Zaghawa, una delle principali cause degli scontri fra etnie… mah!
A volte mi chiedo anch’io, caro Mauro, se non stiamo combattendo una battaglia persa, e non parlo solo da presidente di Italians for Darfur ma anche da giornalista che in quei luoghi è stata e ha toccato con mano la sofferenza di questo popolo. Prima di Suliman, altri rappresentanti dei rifugiati darfuriani in Italia mi hanno palesato la convinzione che per il Darfur l’unico linguaggio utile sia quello delle armi, per difendersi aggiungono rassicuranti, ma può un tale pensiero ‘rassicurare’ chi, invece, crede in un’altra battaglia. Una battaglia che a volte sembra persa in partenza, ma che riserva anche piccole, si intende, soddisfazioni. In Italia prima che iniziasse la nostra opera di sensibilizzazione, nessuno – e sottolineo NESSUNO – si occupava di Darfur. Oggi non c’è organizzazione che non abbia un progetto – se poi lo realizzano è un altro discorso… - per il Darfur tra i loro obiettivi. Proprio in questi giorni è partita la campagna di Emergency per la costruzione di un ospedale pediatrico a Nyala.
E a proposito di Nyala… sulla questione Contni da tempo ho alcune precisazioni da fare. E le farò. Intanto ringrazio l’onestà intellettuale di Trombatore e lo invito a raccontarci anche tutto quello che finora non ha detto e sottolineo, di nuovo, TUTTO.
Un caro saluto,
Antonella

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